Quando la malattia diventa cronicità

La malattia cronica è un evento traumatico ed imprevedibile, che altera e rompe precedenti equilibri organici, psicologici e sociali della persona,determinando cambiamenti repentini nella vita del paziente con conseguenze che si riflettono sull’equilibrio affettivo, sociale e familiare.

Le patologie cronico-degenerative sono più frequenti nelle fasce di età più adulte: già tra i 55-59 anni ne soffre il 53%, tra le persone ultra settantacinquenni la quota si avvicina all’85 %.

Malattie croniche risultano comunque sempre in crescita: malformazioni congenite, cardiopatie, tumori maligni, diabete, gigantismo, nanismo ipofisario, malattie neurologiche, neurodegenerative (SLA, demenze), disturbi muscolo-scheletrici, malattie mentali, insufficienza renale cronica, gravi deficit sensoriali e fisici fin dalla nascita, AIDS, epatiti.

La condizione di malato cronico è spesso legata a stati più o meno importanti di ansia, depressione, stress, che a loro volta incidono negativamen-te sull’aderenza alle terapie, sugli esiti della riabilitazione, generando spesso complicanze che impattano sulla salute della persona, e sui costi sostenuti dalla sanità.

CHE COSA CAMBIA?
Le cronicità obbliga la persona a modificare e/o ridimensionare le proprie abitudini ed aspettative sul futuro, a negoziare ed integrare la propria identità e le relazioni sociali. Le patologie croniche hanno quindi un grande impatto sulla qualità di vita del paziente e dei caregivers.

Le capacità di adattarsi differiscono da soggetto a soggetto e dipendono dalla tipologia della personalità, da precedenti in ambito familiare, dall’età d’insorgenza e dal modo con cui anche la famiglia reagisce .

Al momento della diagnosi di cronicità è raro che le esigenze biomediche delle cure a lungo termine siano percepite come un bisogno e una necessità.
Una serie di domande si profilano alla mente e allagano il campo della coscienza divenendo la preoccupazione primaria.
Alcune: è colpa mia, perché proprio a me, come sarà in futuro la mia vita, quanto vivrò, sarò ancora autonomo ?

Nelle patologie croniche, oltre il 50% dei pazienti non riesce ad eseguire correttamente la terapia consigliata dal medico curante in quanto il coinvolgimento del paziente nel suo processo di cura è assente o ridotto, pur essendo il fattore chiave per il miglioramento e il mantenimento di una qualità di vita migliore.

UN LUTTO DA ELABORARE?

Come si verifica in quasi tutte le malattie gravi (in particolare in quelle croniche) ogni nuova situazione deve essere elaborata per fasi progressive e diversificate (KUBLER-ROSS), dandosi tempo e spazio.

Si attraversano delle fasi non lineari, dalla incredulità con frequente rifiuto di ogni terapia, reazioni di “caparbietà”, non osservanza delle indicazioni sanitarie, con relativo peggioramento della malattia ad una parziale accettazione, mista a sensazioni di abbandono e passiva accettazione.
Si passa poi ad una minima consapevolezza delle difficoltà, ma senza fiducia nel poterci convivere, e progressivamente si può giungere a segni di una accettazione emotiva e razionale.

E’ a questo punto che il paziente si rende disponibile a collaborare e a recepire le informazioni sulla propria condizione.

La terapia più avanzata può diventare poco efficace se il paziente non è coinvolto nella gestione della malattia.

L’obiettivo globale è quello di aumentare la motivazione interiore, il locus of control e favorire strategie di empowerment.
Il locus of control traduce la ferma convinzione di attribuire i successi a fattori direttamente connessi alle proprie abilità, capacità e volontà.

L’empowerment fa riferimento ad processo di crescita che si basa sul incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione, il cui fine è fare emergere le risorse latenti, spesso sconosciute, quindi inutilizzate, da consentire un passaggio trasformativo da passivo esecutore di prestazioni ad attivo attore del proprio percorso di cura.
I RISVOLTI PSICOLOGICI: LO SPECCHIO ROTTO

La condizione di malato cronico è spesso legata a stati più o meno importanti di ansia, depressione, stress, che a loro volta incidono negativamente sulle terapie, sugli esiti della riabilitazione, generando spesso complicanze che impattano sulla salute della persona.

La cronicità è una dimensione della malattia inscindibile dalle molteplici tematiche psicologiche che la accompagnano.
Vediamone alcune: la dipendenza forzata da un trattamento, il cambiamento dello stile di vita,  la permanenza della condizione di malattia, il sentimento di vergogna, il vissuto di diversità legato alla perdita di una immagine di Sé e a uno stile di vita pre e post, che nutre una profonda ferita narcisistica, alla stessa stregua di guardarsi allo specchio a venti anni e a sessanta, senza che queste due rappresentazioni siano tra loro connesse da un filo, pur invisibile e sottile ma che connette tutti i pezzi del puzzle.
E’ un “non riconoscersi”, un “non trovarsi” che crea ansia, depressione, stress, mancanza di senso, impotenza e rabbia in assenza di un “avversario reale e concreto” con cui battersi.

LE CONSIDERAZIONI PERSONALI E I TESORI NASCOSTI

Lavorando con la cronicità in RSA e in oncologia, ho imparato, non senza fatica che “esiste l’oggi”; che non ci sarà mai guarigione, ma solo un grande impegno volto al migliore benessere quotidiano.

Non ci sono regole fisse, non ci sono certezze, ma possibilità e probabilità!

Per confrontarsi quotidianamente con la fragililtà e l’imprevidibilità, con i limiti delle tecnologie, delle relazioni, con l’ instabilità delle emozioni e dei sentimenti, con l’alternanza di momenti di grande speranza ad altri di incertezze, necessita disporre dentro di sé, come operatore, di flessibilità, speranza e fiducia modulandosi di volta in volta con il malato che abbiamo davanti, non con un altro di pari età ed equivalente patologia.

Si impara a divenire capaci di adattarsi senza essere “adattabili”, vivere rispettosamente “l’hic et nunc” del tempo, degli eventi delle persona, come scanditi dalla vita.