Spesso si tende ad etichettare qualsiasi sentimento spiacevole, anche quando si tratta di rabbia, frustrazione, paura, tristezza, con il termine “depressione”. Niente di più improprio, vediamolo in pratica.

Le statistiche più recenti , sottolineano che in Italia oltre 10.000 persone sono affette da depressione, più o meno grave, e fanno ricorso a farmaci specifici.

A livello mondiale la depressione costituisce una grossa preoccupazione per la salute pubblica, con una stima di circa 300 milioni di situazioni relative al disturbo depressivo maggiore.

Per facilità espositiva, utilizzerò il termine depressione, nella sua accezione generale, non facendo riferimenti ai diversi sottotipi, come riportati nel DSMV (manuale di psichiatria) riconosciuto dall’OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità.

La depressione è e resta una vera e proprio “malattia”, e gli appelli alla “buona volontà,” piuttosto che considerazioni tipo: “dai peso a tutto”, sono luoghi comuni, ancora diffusi, ma che non hanno alcun effetto sullo sblocco della malattia, e sul “volere stare bene” se non far sentire il soggetto portatore ,in colpa e responsabile del disagio che coinvolge anche il contesto che lo circonda. ”

Siamo tutti a rischio?

Come detto sopra, trattandosi di una malattia, anche se non radiografabile, può insorgere in diversi momenti del ciclo di vita dell’individuo e potenzialmente in ciascuno di noi. A conferma di ciò valga la depressione “anaclitica” del primo anno di vita, nei bambini ipostimolati, spesso abbandonati e collocati in Istituti, al decesso di uno o entrambi i genitori, in età infantile, o alla perdita di una figura di attaccamento significativa.

Altrettanto vale per la fase adolescenziale, nel corso di sofferti e fisiologici cambiamenti della mente, del corpo, dei rapporti familiari ed amicali.

Situazioni quali: una separazione coniugale, specie se subita, l’ uscita di casa dei figli, con relativa” sindrome del nido vuoto”, il decesso dei genitori anziani, la perdita del lavoro e relativi problemi economici, il pensionamento, se non è preparato prima, una malattia cronica, che riguardi la persona in oggetto, sollecita riflessioni sulla vita e sul “senso stesso dell’esistere” (depressione esistenziale), una vedovanza, specie se non vi è rete familiare e sociale cui riferirsi, costituiscono un humus favorevole a manifestazioni depressive.

Nella donna, : l’interruzione di gravidanza, voluta o spontanea, il periodo post- partum, quello della menopausa, sono snodi che possono favorire la comparsa di sintomi depressivi.

Quanto dura la depressione?

Sento che vi aspettate delle risposte chiarificatrici e speranzose, e cercherò di non deludervi, pur rispettando i dati di realtà.

Innanzitutto, dalla depressione si può uscire e può divenire opportunità di crescita e trasformazione, se affrontata con i corretti strumenti, di cui vi parlerò, e se l’esperienza della sofferenza, come per qualsiasi malattia, viene letta dalla persona, non come una “sfortuna”, ma come un'”opportunità” per capire meglio il “senso” della specifica situazione all’interno del proprio percorso di vita.

La depressione può presentarsi come unico episodio, nel corso della vita, anche se, nella maggior parte delle situazioni, si assiste a ricadute o recidive.

In alcuni casi i sintomi sono ridotti e non interferiscono nelle attività quotidiane; in altri invece, si verificano limitazioni importanti.

Spesso, accade che:

Dopo un primo episodio depressivo trascorra un tempo abbastanza lungo prima della comparsa di un altro.

Non risponde al vero la credenza che, ad ogni ricaduta, gli episodi successivi durino più a lungo.

I tempi medi di durata, oscillano tra i tre e sei mesi. E’ sempre opportuno valutare le caratteristiche di ogni singola persona.

Quale terapia?

Gli strumenti a disposizione sono :

La psico -farmacologia
L’aiuto psicologico
Poiché l’uno non esclude né inficia l’altro, ad oggi l’integrazione dei due approcci ,è quello più consigliato, poiché con la riduzione dei sintomi, l’individuo risulta più sollevato e più collaborante anche rispetto l’intervento psicologico.
Come spiegare l’insorgenza della depressione?

Nella letteratura scientifica più aggiornata come nella pratica clinica, si osservano la presenza di fattori differenti : componenti chimiche, (serotonina, neurotrasmettitori) flussi ormonali, non si esclude la predisposizione genetica, anche se ogni individuo è un mondo a sé. Di certo sappiamo che la “resilienza”, la soggettiva capacità di reggere e situazioni disagevoli, e l’ utilizzo di modalità di coping, favoriscono la messa in atto di comportamenti e strategie opportune al sistema mentale, affettivo e valoriale della persona.

Di certo, fattori, tipo quelli sotto elencati risultano “favorenti” il quadro depressivo.

forte stress, legato a situazioni che procurano un carico eccessivo di tensione e di fatica

specifici eventi di vita, (sopra citati)

malattie organiche specifiche, che dovrebbero essere indagate già in fase di raccolta della storia di vita della persona: (“anamnesi presente e remota” ) come , anemia, diabete, problemi allatiroide, assunzione di farmaci, ad esse connesse, devono essere tenute presenti.

Quali sono i sintomi più comuni?

L’individuo depresso presenta:

paura di sbagliare, dimensione fisiologica dell’essere umano,
bassa stima, autosvalutazione.
aspettative negative, sentimenti di iper responsabilità,
aspettative elevate,
marcato senso del dovere,
angoscia
isolamento , passività motoria ed ideativa o irritazione e eccitabilità.
inappetenza, igiene personale, sono uno sforzo, in quanto manca la finalità per compiere anche le piccole azioni quotidiane.

Dal punto di vista somatico si osservano:

turbe del sonno, sonno leggero e interrotto da risvegli, oppure forte desiderio di dormire
affaticamento fisico ,come se le forze venissero meno,
calo del desiderio sessuale,
perdita di peso corporeo
Dal punto di vista cognitivo:

Il pensiero negativo e pessimista ingabbia l’individuo in una sorta si ruminazione (pensiero ripetitivo) associato al mantenimento di pensieri e conseguenti emozioni negative, focalizzato sui sintomi.
Il permanere su pensieri deprimenti riduce la capacità della memoria di lavoro, essendo l’attenzione centrata su contenuti volti al negativo.
Ciò sembra spiegare perché il quadro depressivo sia associato a problemi di concentrazione e di memoria. Tale deficit, può avere conseguenze attraverso la perdita della produttività a un aumento della distraibilità.
Il comportamento non verbale denota:

lentezza nel camminare, nell’elaborare pensieri, nell’azione, in generale
timbro di voce basso,
volto triste, pensiero assente e lontano
scarso interesse per il quotidiano, per sé e per gli altri
Ciò accade anche con i familiari, che risultano spesso irritati e fanno appello alla “buona volontà”, ritenendo la depressione “una malattia immaginaria”.

Psicofarmaci o trattamento psicologico?

Colgo l’occasione per precisare che qualsiasi prescrizione psicofarmacologica, deve essere fatta da un medico, o da uno specialista, in quanto nella scelta del farmaco debbono essere tenuti presenti eventuali altri disturbi, la posologia, la durata-base del trattamento e la reazione dell’individuo.

L’effetto del farmaco antidepressivo non è immediato, come avviene quando si assume un tranquillante/ansiolitico, richiede almeno due/tre settimane di tempo di attesa, e, a volta, si rende necessario sostituirlo, poiché non si ravvedono miglioramenti, anche se sintomatici. Queste informazioni, vanno fornite al paziente, poiché accrescono la “compliance” con lo specialista, in modo da non demotivarsi se non si vedono miglioramenti a medio termine.

Alcuni pazienti riferiscono di essere contrari alla psicofarmacologia, in quanto non vogliono sviluppare dipendenza. E’ inevitabile che senza la collaborazione dell’ interessato, non ha senso qualsiasi prescrizione, sia chimica che naturale. In questi casi, per altro frequenti, spiego l’utilità e le modalità di funzionamento del farmaco, ma ne rispetto la scelta rendendolo corresponsabile dellasua stessa decisione.

La depressione come risorsa: provocazione o possibilità?

Quello che sto per dirvi non contraddice quanto sopra esposto, ma costituisce l’altra faccia della stessa medaglia, quella positiva e possibile meta di un percorso psicologico, il cui fine, condiviso, può mirare a trasformare il disagio in “risorsa e crescita personale”.

trasformare la propria aggressività in assertività,
rinunciare alle recriminazioni e al fare per gli altri, anziché prendersi le giuste responsabilità,
delegare anziché controllare strenuamente,
lasciare emergere il senso del proprio valore, al posto della disistima,
nutrire il senso di vuoto interiore , che nessuno può colmare, se non noi stessi,
sviluppare processi di separazione e di autonomia, al posto della dipendenza,
maturare la consapevolezza del proprio valore di persona
accedere alle potenzialità latenti e alla creatività, uso della creta, modellaggio, ‘
concedere momenti di riposo e recupero al corpo e alla mente, nel rispetto di sé con il piacere di prendersi del tempo per lo svago,
praticare attività fisica utile” antidepressivo naturale”.
La mia esperienza professionale

L’intervento psicologico costituisce un aiuto importante che consente di divenire consapevoli dei sentimenti di dolore , rabbia, distorsioni cognitive, pensieri pessimisti e colpevolizzanti.

Inoltre, si può aiutare a prendersi cura di sé, nutrirsi, concedersi momenti di riposo, piuttosto che piccole gratifiche. Prendersi un fiore, prepararsi un cibo gustoso, vedere uno spettacolo televisivo o teatrale, chiamare un’amica, in altre parole, passare dal “dovere” al “piacere”.

Mostrare di stare male, che le cose non vanno bene, che i farmaci non funzionano, che l’aiuto psicologico sono solo “chiacchere” sono tutti mezzi, più o meno consapevoli, che tengono la persona “al centro del suo contesto” , e alcuni cambiamenti bloccati.

A volte, questa modalità, risulta efficace, per non lasciar volar via un figlio, per tener legati a sé un partner, per controllare gli avvenimenti, per non confrontarsi con cambiamenti, per poter mantenere un’immagine di sé ” sfortunata” e di “vittima”, tale per cui non poter farsi carico di altre deprivazioni.

Lavorare con soggetti depressi è faticoso. Il loro “pessimismo”, a volte cosmico, unito a sentimenti di “vuoto e di inutilità”, originatesi in tempi lontani , rischia di rendere “l’addetto ai lavori”, impotente, confermando la convinzione dell’individuo: “tanto non cambia nulla”! Questa è la prima trappola da evitare.

Ciò è falso: nulla cambia se la persona decide di non voler cambiare, preferendo una vita limitata e limitante per sé e spesso anche per i familiari.

Di certo avrete sentito parlare del cosiddetto “vantaggio secondario”.

Mi sembra una buona opportunità per un piccolo chiarimento al riguardo.

Mostrare di stare male, che le cose non vanno bene, che i farmaci non funzionano, che l’aiuto psicologico altro non è che “chiacchere”, sono mezzi, più o meno consapevoli, che tengono la persona “al centro del suo contesto” , e congelato qualsiasi cambiamento, specie se non va nella direzione desiderata dal paziente.

Accompagnare un soggetto depresso in questo cammino, mi ha insegnato ad offrire il mio personale aspetto empatico , prima di quello professionale; entrare in risonanza con le emozioni e i sentimenti della persona che ho di fronte, in una sorta di rispecchiamento, in cui dando accoglienza alle sue paure, rabbie, desideri nascosti, questi possono affiorare, sapendo che nessuno li inibirà li bloccherà o esprimerà giudizi.

A conferma di ciò lavoro anche sul corpo, lasciando che esso stesso, depositario di tutte le nostre memorie passate e presenti, liberi a livello neuronale, materiale che è stato bloccato, mentre la persona è “attiva protagonista” di quanto sta affiorando. Progressivamente il livello energetico dell’ individuo migliora e anche il tono umorale.