Questo scritto nasce dalla sempre maggiore richiesta di aiuto richiestomi, rispetto ai rapporti affettivi, che, anziché essere opportunità di crescita, serenità ed appagamento, si delineano come fonte di sofferenza in quanto, una volta instauratasi la relazione, questa diviene il centro della propria esistenza, il punto intorno cui far ruotare le proprie scelte, come se, senza l’amato/a ,l’individuo sia incapace di procedere in modo autonomo.

Un libro, ormai datato, ma pur sempre di grande attualità, “Donne che amano troppo”(Norwood), già quasi trent’anni fa affrontava questa tematica, suscitando scalpore e perplessità per l’epoca. Oggi la dipendenza affettiva è una realtà presente in molti rapporti , e non solo a carico del sesso femminile, anche, se ne risulta quello più vulnerabile, ed è annoverata una “dipendenza”, a tutti gli effetti, anche se oggetto del dipendere è la relazione interpersonale, ovvero il rapporto con l’Altro.

Come alcuni lettori che mi seguono con affetto e interesse, voglio procedere per punti, quasi in una sorta di dialogo tra chi scrive e chi legge, nella speranza di offrirvi degli spunti su cui riflettere.

Voglio partire, tentando di concentrare in poche righe, le caratteristiche che dovrebbero improntare un rapporto affettivo, soddisfacente non “idilliaco”, ma vero, con i suoi alti e bassi fisiologici.

…… “Essere coppia”…in una relazione sana”….

Credo che essere coppia debba essere qualcosa in più di una comunione di interessi, o l’espressione di uno “status” di potere, di prestigio, di immagine, spesso “vuoto” contenitore.

Una relazione affettiva sana presuppone essere aperti e ricettivi alla “dedizione dell’altro”, non alla sottomissione,” avere cura e rispetto di sé”, consapevoli delle singole “diversità”, per pervenire ad una progressiva integrazione delle differenze, senza annullarsi o essere annullati.

Gli elementi costitutivi delle relazioni umane oscillano tra un mix di dipendenza e di autonomia, dove i due individui pur completandosi, sono capaci di contare su se stessi.

Ne deriva , che è’ importante ,che ciascun componente della coppia possa avere degli spazi propri, da dedicare solo a sé, .senza togliere nulla alla ricchezza e alla pienezza della condivisione

Questa esigenza non è egoismo o disinteresse per il partner ,se non diviene una modalità sostitutiva del rapporto a due.

Credo che non resterete delusi se non vi suggerisco alcuna “ricetta di sicura felicità”, ma solo alcuni piccoli suggerimenti, che io stessa ho trovato preziosi.

Poi, ognuno, potrà farne l’uso più appropriato per sé

Accettare che non si è “simili”, ma diversi, che nessuno cambia, se non lo decide la persona interessata,,” essere consapevoli che il percorso comune è costellato da evoluzioni individuali, che non sempre coincidono con quelli del partner; essere coscienti che la conflittualità è inevitabile, ma anche costruttiva, sapere che il “per sempre”, si rinnova ogni giorno , e non è scontato, non mi paiono aspetti di poco conto. Dipendenza e autonomia sono elementi costitutivi delle relazioni umane e del .legame tra due individui che si integrano, si completano, ma che devono anche essere in grado di contare su se stessi.

A questo punto mi sorge una domanda:

Cosa si intende per dipendenza affettiva e da dove trae origine?

La dipendenza affettiva è una particolare forma di dipendenza che si caratterizza per l’incessante bisogno di aiuto, sostegno, incoraggiamento, specie se si devono operare scelte significative, in cui l’individuo chiede conferma, rassicurazione ad un terzo, essendo la sua autostima bassa e basata sulla approvazione degli altri.

La fiducia negli altri e in se stessi sono complementari e costituiscono la premessa per strutturare legami affettivi adulti con persone capaci di protezione e sostegno , favorendo una condizione di stabilità e sicurezza.

Questo processo inizia a partire dalle prime esperienze infantili con la madre, o sostituto materno, per estendersi ad altri soggetti affettivamente significativi, con l’intento di sviluppare una propria regolazione affettiva che consenta di “pensarsi e sentirsi un individuo autonomo”.

Il comportamento di totale dipendenza del bambino, nei primi anni di vita, è fondamentale per la sua sopravvivenza fisica e per infondergli una “sicurezza di base”, che proviene da una figura adulta ,capace di soddisfare i suoi bisogni, fisiologici, ma anche affettivi, e su cui poter contare.

Il bambino che sperimenta con la propria madre, o con il “care giver” di riferimento, un “attaccamento sicuro”, sa che, anche se questi sono temporaneamente assenti, al loro ritorno sono disponibili a far fronte alle sue esigenze .Acquisire fiducia nell’altro, incentiva la fiducia nelle proprie possibilità, pervenendo alla capacità di far fronte al distacco e alle separazioni. Crescita della fiducia e sviluppo dell’attaccamento costituiscono la base per lo sviluppo di una dipendenza affettiva.

Autonomia e co-dipendenza:tendenze sospese tra il “pieno e il vuoto d’amore”?

Autonomo è l’individuo che è in grado di fidarsi, di chiedere aiuto, appoggio, approvazione, senza esigere che l’altro sia un’ “ancora di salvezza”, ma un “riferimento e un confronto”, poiché noi dobbiamo divenire il punto di riferimento di noi stessi!

“Essere stati amati, accuditi, da un adulto che vede nel figlio, non il” prolungamento di sè” o il “futuro bastone per la vecchiaia”, ma un individuo da mettere nelle condizioni di “di fidarsi di sé” riduce il rischio che questi divenga dipendente,” dall’esterno.

Di contro, l’individuo che tende a divenire tutt’uno con il partner, strutturando una “patologica simbiosi”, promuove condotte che possono sintetizzarsi in questi assunti:. “non posso stare senza di te”! Tu sei tutto per me! In altre parole, l’Altro diviene una parte inscindibile di sé, un prolungamento che non rende possibile un confronto reale con “il nostro essere più autentico e vero”. Gli addetti direbbero è impedito al Sé di sperimentare la propria autenticità in presenza dell’Altro, poiché ritenuto troppo pericoloso per la propria integrità.

Ora vi chiedo: quante volte vi è capitato di sentire questa affermazione? E mi fermo qui.

Ne sono esempi classici, le “madri che vivono per i figli”, le donne che “brillano di luce riflessa dei loro uomini.”.

Relazioni di coppia di questo tipo risultano “disfunzionali”. Non vi è spazio per la reciprocità , ma per la sottomissione e per la negazione delle proprie necessità .Il termine co-dipendenza, nato nell’ambito Alcolisti Anonimi, indica la sofferenza e la disfunzione del soggetto dovute al farsi carico della cura dell’altro per essere amato ed accettato, trascurando i propri bisogni, come già nella loro esperienza infantile.

La co-dipendenza, rimanda a donne passive, percepitesi come fragili e a uomini controllanti e dominanti, per nulla rassicuranti. Essi stessi sono “dei dipendenti”, poiché, se privati della persona su cui esercitano controllo e potere, possono divenire violenti, sentendo minacciata l’ ” apparente sicurezza emotiva” che ostentano.

Non è infrequente che ne derivi una alla condotta violenta, a cui segue pentimento e ricerca di perdono, anche attraverso piccoli doni. Spesso, ciò è sufficiente alla donna per riattivare cura ed accudimento, fino al ripresentarsi di nuovi episodi di prevaricazione, come nelle relazioni “vittima- carnefice”.

A questo punto mi sorge spontaneo un interrogativo, che giro anche a voi.

Che bambino è stato l’adulto affettivamente dipendente?

Un bambino precocemente “adultizzato”, cioè un bambino a cui è stato chiesto di divenire adulto in fretta, negandogli la possibilità di un processo evolutivo per tappe sequenziali, e le opportunità per soddisfare i propri bisogni e desideri nell’illusoria aspettativa di trovare un riconoscimento a patto di essere “obbedienti” e “accondiscendenti” ad ogni richiesta.

Quanti adulti, durante il loro percorso di presa di consapevolezza, di come sia andata creandosi la loro co-dipendenza, mi dicono :

“Dottoressa, sa che io “sono stato un bravo bambino”! Chiedo loro di spiegarmi cosa intendono con questo termine, e, i più replicano : “non davo problemi, facevo il figlio maggiore, piuttosto che il genitore dei miei genitori”!

Nel cogliere il loro dolore, ma anche la loro rabbia, risulta facile capire, perché, pur cambiando partner, ripropongano sempre lo stesso modello relazionale

Il” copione si ripete”, finché non viene volontariamente “rotto e corretto”, anche attraverso un aiuto psicologico.

Se il soggetto “dipendente reagisce nei termini che ho sinteticamente riportato, l’evitante”, predilige agire “condotte di fuga”. Ogni volta che la relazione affettiva viene percepita stretta, richiedente, responsabilizzante, si sente soffocare, temendo di esserne risucchiato. Preferisce scappare o orientarsi verso “rapporti a basso coinvolgimento emotivo” .Per l’uno come per l’altro, il potenziale d’amore è bloccato. Diverse sono solo le condotte messe in atto.

A questo punto che fare?

Bella domanda.

La fusione, del dipendente, come la difesa, dell’evitante nuocciono alle relazioni interpersonali e ai legami affettivi, fino a condurre alla distruzione degli stessi

Dal punto di vista affettivo, la scelta del partner, procederà secondo la modalità della ricerca “di appoggio”, nella speranza che le proprie parti più sofferenti, trovino accudimento, quasi a riempire “quella metà di sé non nutrita in infanzia”. Al partner verrà chiesto, o meglio ci si aspetterà, che colmi il vuoto lasciato dalla figura di accudimento e ci si rivolgerà a lui nello stesso modo in cui il soggetto avrebbe voluto essere trattato.

A questo punto si prospettano due possibilità: o vicendevolmente i partner divengono protettivi ed appoggio per l’Altro; o si andrà strutturando un’interazione basata sulla reciproca rigida dipendenza caratterizzate dal “prendersi cura” o “dall’ essere accudito”.

La dipendenza viene autoperpetuata poiché l’energia utilizzata per mantenerla, limita il raggiungimento di altri obiettivi in direzione dell’ indipendenza.

La condizione di indipendenza è dinamica e flessibile: non poggia su uno stato statico ed idilliaco di armonia, ma su uno stato che oscilla tra “rotture dolorose, distacchi”, e “riparazioni/aggiustamenti” degli stessi : tra gratificazione, ricompensa e frustrazione. Questo è il mondo dell’adulto autonomo, senza paradisi artificiali, senza favole garantite dal lieto fine , senza fantocci, ma con la fermezza e la determinazione di chi ha deciso di prendere la propria vita tra le sue mani.

Mi spiace, se la conclusione, vi può sembrare un po’ amara, ma “stare consapevolmente nella realtà”, permette di coglierne anche gli aspetti veri, autentici che sono diversi al succedersi di ogni stagioni. Ho detto “diversi”, né meglio, né peggio: diversi e tutti necessari.